venerdì 25 dicembre 2009
sabato 19 dicembre 2009
Il problema religioso
L' origine della RELIGIO è da attribuire ad una società di uomini in cui c' erano condizioni favorevoli al suo sviluppo cioè non comprensione di molti fenomeni naturali, rapporti sociali basati sulla violenza e la forza. L' idea dell' esistenza di esseri superiori nacque dai sogni, in cui gli uomini vedevano essere con poteri a loro sconosciuti, esseri onnipotenti: dal vederli nei sogni ad immaginarne la reale esistenza il passo fu breve; dice Lucrezio che " allora le stirpi dei mortali vedevano nelle menti durante la veglia eccellenti immagini di dei, e queste in sogno apparivano di ancor più mirabile corporatura. A queste attribuivano senso perchè pareva che proferissero parole superbe. ..e attribuivano loro vita eterna, perchè sempre la loro immagine si rinnovava e la forma rimaneva inalterata. .". Il passo successivo fu imputare al loro operato le manifestazioni inspiegabili, come i fenomeni celesti e il ruotare delle stagioni. Per non scatenare le loro ire nacquero così i culti degli dei e si costruirono i luoghi di culto. Per Lucrezio l' uomo, quando attribuì tali poteri agli dei, si autolesionò perchè si procurò solo timori e sofferenze: " o misera stirpe dei mortali, quando ebbe assegnato tali poteri agli dei e aggiunto loro la collera acerba ! Quanti gemiti procurarono allora a sè stessi, quante sofferenze e lagrime ai nostri figli ! Non v' è alcuna devozione nel mostrarsi col capo velato. ..devozione è piuttosto potere guardare tutto con mente serena ". La religione per Lucrezio ha portato più danni che vantaggi agli uomini, perchè in nome di essa sono stati compiuti delitti, misfatti, per esempio quello compiuto dal padre di Ifigenia, che sacrificò agli dei la figlia per potere avere buona sorte per le sue navi in partenza. Lucrezio attribuisce il grande merito di avere aperto gli occhi agli uomini sull' inganno della religione al filosofo greco Epicuro, di cui lui ricalca le orme e il cui messaggio vuole portare nel mondo romano attraverso il "De rerum natura ". Nonostante i suoi obiettivi anti religiosi Lucrezio apre il libro I con un' invocazione a Venere, dea protettrice, ma tale preghiera non va interpretata come gesto incoerente, perchè Venere è qui intesa come forza creatrice della natura, ma anche perchè Venere è una delle dee più popolari, così Lucrezio vuole attirare i suoi lettori. Riporta poi Lucrezio una descrizione dei riti e delle superstizioni legate alla dea Cibele, ma Egli conclude affermando la vanità di tali riti perchè gli dei vivono in un altro mondo e si disinteressano totalmente di ciò che gli uomini fanno.
La Tesi del professor Antonino Zichichi, Presidente della World Federation of Scientists:
“Noi siamo l’unica forma di materia vivente a cui è stato dato il privilegio del dono della ragione; ed è grazie alla ragione che la forma di materia vivente cui noi apparteniamo ha potuto scoprire il linguaggio, la logica e la scienza.Esistono infatti centinaia di migliaia di forme di materia vivente, vegetale ed animale, ma nessuna di esse ha saputo scoprire la memoria collettiva permanente – meglio nota come linguaggio scritto – né le forme di logica rigorosa come la matematica o la scienza che, tra tutte le logiche possibili, è quella che ha scelto il Creatore per fare l’Universo così come possiamo vederlo e studiarlo, e noi stessi.Una logica che ci è permesso di studiare e capire ma che nessuno sarà mai in grado, anche minimamente, di alterare. Senza ragione non avremmo potuto scoprire la scienza, questa straordinaria avventura intellettuale, iniziata solo 400 anni fa, con Galileo Galilei e le prime Leggi fondamentali della natura da lui scoperte.Galilei le chiamava “Impronte del Creatore”, impronte che potevano anche non esistere. Invece lui era convinto che esistessero, e che fossero presenti sia nelle stelle, sia nella materia “volgare” come le pietre, nelle quali in quel tempo tutti erano certi che non fosse possibile trovare verità fondamentali. È proprio studiando le pietre che Galilei iniziò a cercare quelle impronte, per un atto di fede nel Creatore.Un atto di fede e di umiltà, che ci ha permesso di arrivare oggi, in soli quattro secoli, a concepire l'esistenza del "supermondo": la più alta vetta delle conoscenze scientifiche galileiane, quindi del sapere rigoroso, nell'immanente. Le frontiere stesse del supermondo confermano quanto dicevo prima, ovvero che siamo l'unica forma di materia vivente dotata di ragione.”
La Tesi del professor Antonino Zichichi, Presidente della World Federation of Scientists:
“Noi siamo l’unica forma di materia vivente a cui è stato dato il privilegio del dono della ragione; ed è grazie alla ragione che la forma di materia vivente cui noi apparteniamo ha potuto scoprire il linguaggio, la logica e la scienza.Esistono infatti centinaia di migliaia di forme di materia vivente, vegetale ed animale, ma nessuna di esse ha saputo scoprire la memoria collettiva permanente – meglio nota come linguaggio scritto – né le forme di logica rigorosa come la matematica o la scienza che, tra tutte le logiche possibili, è quella che ha scelto il Creatore per fare l’Universo così come possiamo vederlo e studiarlo, e noi stessi.Una logica che ci è permesso di studiare e capire ma che nessuno sarà mai in grado, anche minimamente, di alterare. Senza ragione non avremmo potuto scoprire la scienza, questa straordinaria avventura intellettuale, iniziata solo 400 anni fa, con Galileo Galilei e le prime Leggi fondamentali della natura da lui scoperte.Galilei le chiamava “Impronte del Creatore”, impronte che potevano anche non esistere. Invece lui era convinto che esistessero, e che fossero presenti sia nelle stelle, sia nella materia “volgare” come le pietre, nelle quali in quel tempo tutti erano certi che non fosse possibile trovare verità fondamentali. È proprio studiando le pietre che Galilei iniziò a cercare quelle impronte, per un atto di fede nel Creatore.Un atto di fede e di umiltà, che ci ha permesso di arrivare oggi, in soli quattro secoli, a concepire l'esistenza del "supermondo": la più alta vetta delle conoscenze scientifiche galileiane, quindi del sapere rigoroso, nell'immanente. Le frontiere stesse del supermondo confermano quanto dicevo prima, ovvero che siamo l'unica forma di materia vivente dotata di ragione.”
Lucrezio
Abbiamo trovato alcune informazioni riguardanti la religio di Lucrezio...
postiamo qui il link
http://www.filosofico.net/lucrezio.htm
postiamo qui il link
http://www.filosofico.net/lucrezio.htm
A duemila anni dal duemila (Francesca Knor)
Il rapporto tra fede e ragione secondo la "Fides et Ratio", nell'enciclica del settembre del 1998 promulgata dal Papa Giovanni Paolo II
Tra Fede & Ragione
Le encicliche, dunque, non sono il parto notturno (si fa per dire) di un pontefice che le riceve in flebo dalla Provvidenza per stenderle malferme sulla pregiata carta della sua scrivania da letto. Sono il risultato della spremitura di parecchie meningi (quante e quali non è dato sapere) ecclesiastiche: immaginiamo diverse teste d’uovo, coronate da gentil cappelletto, che, in lindi (puliti dalle suore) studioli vaticani redigono in penombra questi documenti facendo la summa di tutto il loro sapere e cercando di rispondere alle sollecitazioni che pervengono ai vertici dalla base caotica e multiforme (il gregge) e dai loro pastori (sacerdoti e vescovi).Dall’anno 2000, anno che tutti sanno già che sta arrivando (basta guardare le scadenze sulle scatolette)... giungono grida, lamenti, dubbi e risate: e da duemila anni prima, anno in cui si è fermata e a cui risale l’avventura intellettuale di questi compilatori, arrivano le risposte.Dobbiamo pensare che sia urgente in questo momento, parlare dei rapporti tra fede e ragione, perché ogni enciclica risponde alla impellenza di pianificare certi problemi, anche molto "concreti", in cui la Chiesa è coinvolta: pensiamo ad esempio alla scocciatura di dover diffondere un’enciclica, "Quanta cura", (1741) per proibire i traffici di elemosine, o ai giri di parole necessari a presentare in maniera casta la "Mirari Vos" (1832) in cui si proibiva la libertà di coscienza e di stampa, e così via, sino ad esempio alle gravi preoccupazioni teologiche che potevano ispirare la "Gravissimo Officio" (1906) in cui la Chiesa si dispera per il suo destino in Francia (con la legislazione repubblicana)...Attualmente, l’ottimismo che aveva introdotto un papa polacco al momento giusto, e l’esultanza per la caduta dei regimi dell’ateismo di stato, hanno lasciato il posto ad una stizza ed a una depressione notevole visto che la gente si ostina a non voler essere tutta cattolica, anzi, molti tra i più giovani sono convinti che dio sia un misto di varie divinità correnti, o non credono affatto.Dal primo punto (p. 1), circa i rapporti tra fede e ragione, si conclude che la "fede" è quella particolare capacità di credere alla verità di alcune risposte, quelle date dalla chiesa circa il senso della vita ed il perché "della presenza del male". Ma questi due interrogativi che l’enciclica definisce "universali" (escludendo quindi a priori ogni tipo di inclinazione e cultura che non riconosca ad esempio il bisogno di dare un "senso" alla vita), hanno già una risposta in varie religioni (si citano en passant, come a dare un tocco pittoresco, anche i Veda), però la Chiesa si definisce colei che "nel Mistero Pasquale ha ricevuto in dono la verità ultima sulla vita dell’uomo" (p. 2). Chiunque inizi a leggere questa enciclica può capire fin da subito quindi che si sta facendo una rassegna di domande - pretesto... sulle quali però non è ammessa altra risposta che quella della Chiesa. e qui chiudiamo la lettura ed andiamo a fare una bella passeggiata invernale, vi va?Per chi volesse insistere, l’imposizione della verità contenuta nel "mistero pasquale" è per inciso la convinzione che un dio, nei panni di Cristo, sia venuto sulla terra per farsi crocifiggere a nostra discolpa (in quanto peccatori:... il peccato esiste prima di dio) e, diciamo così in vena sadomasochistica, dimostrandoci il suo amore; questo dio avrebbe poi lasciato alla Chiesa carta bianca per "evangelizzarci", cioè inculcarci insegnamenti fatti derivare dalla storia (più o meno riscritta) della sua vita.
Tra Fede & Ragione
Le encicliche, dunque, non sono il parto notturno (si fa per dire) di un pontefice che le riceve in flebo dalla Provvidenza per stenderle malferme sulla pregiata carta della sua scrivania da letto. Sono il risultato della spremitura di parecchie meningi (quante e quali non è dato sapere) ecclesiastiche: immaginiamo diverse teste d’uovo, coronate da gentil cappelletto, che, in lindi (puliti dalle suore) studioli vaticani redigono in penombra questi documenti facendo la summa di tutto il loro sapere e cercando di rispondere alle sollecitazioni che pervengono ai vertici dalla base caotica e multiforme (il gregge) e dai loro pastori (sacerdoti e vescovi).Dall’anno 2000, anno che tutti sanno già che sta arrivando (basta guardare le scadenze sulle scatolette)... giungono grida, lamenti, dubbi e risate: e da duemila anni prima, anno in cui si è fermata e a cui risale l’avventura intellettuale di questi compilatori, arrivano le risposte.Dobbiamo pensare che sia urgente in questo momento, parlare dei rapporti tra fede e ragione, perché ogni enciclica risponde alla impellenza di pianificare certi problemi, anche molto "concreti", in cui la Chiesa è coinvolta: pensiamo ad esempio alla scocciatura di dover diffondere un’enciclica, "Quanta cura", (1741) per proibire i traffici di elemosine, o ai giri di parole necessari a presentare in maniera casta la "Mirari Vos" (1832) in cui si proibiva la libertà di coscienza e di stampa, e così via, sino ad esempio alle gravi preoccupazioni teologiche che potevano ispirare la "Gravissimo Officio" (1906) in cui la Chiesa si dispera per il suo destino in Francia (con la legislazione repubblicana)...Attualmente, l’ottimismo che aveva introdotto un papa polacco al momento giusto, e l’esultanza per la caduta dei regimi dell’ateismo di stato, hanno lasciato il posto ad una stizza ed a una depressione notevole visto che la gente si ostina a non voler essere tutta cattolica, anzi, molti tra i più giovani sono convinti che dio sia un misto di varie divinità correnti, o non credono affatto.Dal primo punto (p. 1), circa i rapporti tra fede e ragione, si conclude che la "fede" è quella particolare capacità di credere alla verità di alcune risposte, quelle date dalla chiesa circa il senso della vita ed il perché "della presenza del male". Ma questi due interrogativi che l’enciclica definisce "universali" (escludendo quindi a priori ogni tipo di inclinazione e cultura che non riconosca ad esempio il bisogno di dare un "senso" alla vita), hanno già una risposta in varie religioni (si citano en passant, come a dare un tocco pittoresco, anche i Veda), però la Chiesa si definisce colei che "nel Mistero Pasquale ha ricevuto in dono la verità ultima sulla vita dell’uomo" (p. 2). Chiunque inizi a leggere questa enciclica può capire fin da subito quindi che si sta facendo una rassegna di domande - pretesto... sulle quali però non è ammessa altra risposta che quella della Chiesa. e qui chiudiamo la lettura ed andiamo a fare una bella passeggiata invernale, vi va?Per chi volesse insistere, l’imposizione della verità contenuta nel "mistero pasquale" è per inciso la convinzione che un dio, nei panni di Cristo, sia venuto sulla terra per farsi crocifiggere a nostra discolpa (in quanto peccatori:... il peccato esiste prima di dio) e, diciamo così in vena sadomasochistica, dimostrandoci il suo amore; questo dio avrebbe poi lasciato alla Chiesa carta bianca per "evangelizzarci", cioè inculcarci insegnamenti fatti derivare dalla storia (più o meno riscritta) della sua vita.
martedì 8 dicembre 2009
una poesia in regalo come risposta a Maria
VALORE (di Erri De Luca)
Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finche’ dura il pasto, un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si e’ risparmiato, due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varra’ piu’ niente e quello che oggi vale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe, tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi,
provare gratitudine senza ricordare di che .
Considero valore sapere in una stanza dov’e’ il nord, qual’e’ il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca,
la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.
Considero valore l’uso del verbo amare e l’ipotesi che esista un creatore.
Molti di questi valori non ho conosciuto.
lunedì 7 dicembre 2009
In che mondo viviamo?
Sento e risento la notizia di quell'asilo nido a Pistoia e, più la sento e più mi inorridisco difronte a cotanta ferocia ed incoscienza e malvagità e cattiveria e depravazione e di più ancora... Non trovo le parole per definire ciò che provo ogni volta che leggo di bambini violati e deturtapi della loro innocenza per sempre. Le cosiddette "maestre" sicuramente verranno condannate o forse la passeranno liscia, come spesso accade, forse faranno un pò di carcere o forse ne faranno tanto, ma non capiranno mai quanto male hanno fatto a quelle povere piccole ed innocenti creature, un male che nessuno potrà mai togliergli ne dalla mente ne dal cuore e, qualsiasi sarà la loro condanna, sarà sempre troppo piccola ed incomparabile difronte al male che hanno causato queste bestie feroci. Noi tutti abbiamo bisogno di sapere che i nostri fratelli, i nostri figli, vengono affidati a persone competenti che vegliano sulla salute e sul bene di ogni bambino. Abbiamo bisogno di trovare sicurezza verso chi si pone in nostro aiuto donandoci servizi e scuole dove mandare i nostri bambini sereni e tranquilli.
Veramente non possiamo fidarci più di nessuno?
Mi piacerebbe sapere come la pensate.
Veramente non possiamo fidarci più di nessuno?
Mi piacerebbe sapere come la pensate.
venerdì 4 dicembre 2009
da: Il Ritratto di Dorian Gray
Perché influenzare un individuo vuol dire trasfondergli la propria anima. Egli non pensa pensieri naturalmente suoi, e non arde delle proprie naturali passioni. Le sue virtù non sono una realtà, e i suoi peccati, ammesso che i peccati esistano, sono presi in prestito. Diventa l'eco della musica di qualcun altro, l'attore di una parte che non fu scritta per lui. Lo scopo della vita è lo sviluppo del proprio io. Il completo sviluppo di se stessi – ecco la ragione d'essere di ognuno di noi. Gli uomini oggi hanno paura di se stessi. Hanno dimenticato i doveri più sacri, quelli che si hanno verso di sé. Sono caritatevoli. Nutrono chi ha fame, e vestono chi è nudo. Ma il loro spirito è affamato e ignudo. La nostra razza non ha più coraggio. Forse in fondo non ne ha mai avuto. Il terrore della società, che è la base della morale; il terrore di Dio, che è il segreto della religione: questi sono i sentimenti che ci dominano. Eppure io credo che se un uomo dovesse vivere la vita pienamente e completamente, desse forma a ogni sentimento, espressione a ogni pensiero, realtà a ogni sogno, credo che il mondo si rinsanguerebbe di un così puro fiotto di gioia, che dimenticheremmo tutte le malattie del medievalesimo, e torneremmo all'ideale ellenico – e forse a qualche cosa di migliore e di più ricco dell'ideale ellenico. Ma anche il più coraggioso di noi ha paura di se stesso. Le automutilazioni del selvaggio si ritrovano tragicamente nella autorepressione che martirizza la nostra vita. Siamo puniti per quello che rifiutiamo a noi stessi. Ogni impulso che tentiamo di soffocare, germoglia nella mente, e ci intossica. Il corpo pecca una volta, ed il peccato è finito, perché l'azione è un modo di purificazione. Non rimane che il ricordo del piacere, o la voluttà di un rimpianto. L'unico modo di liberarsi da una tentazione è cederle. Resistete, e vedrete la vostra anima intristire nel desiderio di ciò che s'è inibito, di ciò che le sue leggi mostruose hanno reso mostruoso e illegale. Dicono che i grandi eventi dell'umanità si svolgono nello spirito. Ed è nello spirito, solo nello spirito, che si commettono i grandi peccati dell'umanità.
sabato 28 novembre 2009
La questione del realismo in Petronio
Il realismo, cioè lo sguardo attento ad una realtà che si intende rappresentare nei suoi molteplici aspetti, in Petronio tocca livelli di resa, anche linguistica, precedentemente sconosciuti alla letteratura latina. L’atteggiamento dell’autore di fronte alla realtà e ai problemi morali che essa propone, non risulta mai, per altro, improntato al biasimo e alla condanna moralistica, quanto piuttosto all’aristocratico disincanto di un osservatore divertito. Tale esito è raggiunto mediante un accurato uso delle forme linguistiche, dei mezzi espressivi e di operazioni di etopea. Petronio adatta ad ogni personaggio il suo specifico registro linguistico: si passa così dalla stile aulico, declamatorio, di Eumolpo, alla parlata volgare, piena di espressioni gergali dei commensali di Trimalcione. A caratterizzare un personaggio non concorrono solamente le sue azioni e i suoi discorsi ma anche la lingua. La modalità letteraria con cui, poi, vengono riferiti i fatti, rappresenta un esempio insuperato nella letteratura classica di realismo descrittivo. Petronio evita di raccontare personalmente le vicende delegando il compito direttamente ai suoi personaggi. L’opera infatti è pensata come un lungo diario personale, scritto in prima persona dal protagonista Encolpio. Questo artificio narrativo conferisce alle descrizioni un tono estremamente soggettivo, con un conseguente sdoppiamento di prospettiva: il personaggio nel descrivere gli altri descrive inconsapevolmente, con i suoi giudizi e considerazioni, anche se stesso. Il procedimento, come afferma Erich Auerbach nel suo celebre saggio Mimesis "conduce ad un’illusione di vita più sensibile e concreta", e quindi più realistica. Petronio ha un intento descrittivo, come osserva ancora Auerbach, rende l’opera di Petronio più simile di ogni altro scritto classico alla moderna rappresentazione realistica di scrittori come Balzac, Flaubert, Tolstoy o Dostoevskij, rappresentando dunque il limite estremo cui il realismo antico sia mai arrivato. Bisogna però precisare che Petronio, come tutti gli scrittori e storici classici, non conosce il concetto moderno di società, con le sue problematiche politiche ed economiche e le sue suddivisioni in classi e forze sociali. Il Satyricon non si pone nessuna finalità documentaria o sociologica né tantomeno può essere interpretato come una denuncia della società del tempo. L’autore la descrive con estrema spregiudicatezza ma allo stesso tempo con stile fortemente ironico, sagace e distaccato. Il realismo petroniano risulta dunque notevolmente limitato se confrontato con la letteratura moderna, in quanto non consente un approfondimento serio e problematico delle tematiche sociali, pur rappresentando la più avanzata forma di realismo della letteratura classica.
venerdì 27 novembre 2009
venerdì 20 novembre 2009
Caso Marrazzo. Brenda Trovata Morta e Bruciata.
Il trans, importante testimone nella vicenda del giornalista e governatore del Lazio, era ina casa, seminudo e con i bagagli pronti. Nei giorni scorsi aveva subito aggressioni ed era stato al centro di episodi di cronaca poco chiari. Per l'avvocato Luca Petrucci un episodio che ricorda il sistema adottato dai criminali della Uno Bianca, quando i testimoni venivano messi a tacere uno per volta. Prima di Brenda, infatti, era morto per overdose lo sfruttatore di transessuali Gianguarino Cafasso.
Dopo Gianguarino ora è toccato a Benda, una delle trans con cui si intratteneva Piero Marazzo. Brenda è stata trovata bruciata in casa - un seminterrato in via Due Ponti 180 a Roma. Il corpo non presentava, ad un primo esame, segni di violenza, e le cause della morte sembra siano da attribuire a soffocamento da fumo. Nell'alloggio i bagagli erano pronti per una probabile imminente partenza. I vicini e le sue colleghe riferiscono di aver sentito alcuni rumori durante la notte. I pompieri sono intervenuti alle 4, quando dall'appartamento è cominciato a filtrare prima fumo e poi fiamme. Sul caso sarebbe stata aperta un indagine per omicidio.
Brenda aveva 32 anni, nei primi giorni di Novembre ha subito un'aggressione con rapina, poi è rimasta coinvolta in una rissa.
Era una delle più importanti testimoni del caso Marrazzo, che ora conta due morti. Una morte che alimenta molti sospetti: visti i precedenti. Si sentiva minacciata da qualcuno e per questo evava deciso di fuggire? Perchè bruciare il corpo?
Luca Petrucci chiede di mettere sotto protezione Natalie, uno dei trans che il suo cliente frequentava con maggiore assiduità. L'arrivo della polizia mortuaria è avvenuto nella più assoluta discrezione: nessuno è uscito di casa per un saluto a Brenda, non vi erano neanche curiosi.
E voi cosa ne pensate??
Dopo Gianguarino ora è toccato a Benda, una delle trans con cui si intratteneva Piero Marazzo. Brenda è stata trovata bruciata in casa - un seminterrato in via Due Ponti 180 a Roma. Il corpo non presentava, ad un primo esame, segni di violenza, e le cause della morte sembra siano da attribuire a soffocamento da fumo. Nell'alloggio i bagagli erano pronti per una probabile imminente partenza. I vicini e le sue colleghe riferiscono di aver sentito alcuni rumori durante la notte. I pompieri sono intervenuti alle 4, quando dall'appartamento è cominciato a filtrare prima fumo e poi fiamme. Sul caso sarebbe stata aperta un indagine per omicidio.
Brenda aveva 32 anni, nei primi giorni di Novembre ha subito un'aggressione con rapina, poi è rimasta coinvolta in una rissa.
Era una delle più importanti testimoni del caso Marrazzo, che ora conta due morti. Una morte che alimenta molti sospetti: visti i precedenti. Si sentiva minacciata da qualcuno e per questo evava deciso di fuggire? Perchè bruciare il corpo?
Luca Petrucci chiede di mettere sotto protezione Natalie, uno dei trans che il suo cliente frequentava con maggiore assiduità. L'arrivo della polizia mortuaria è avvenuto nella più assoluta discrezione: nessuno è uscito di casa per un saluto a Brenda, non vi erano neanche curiosi.
E voi cosa ne pensate??
mercoledì 18 novembre 2009
Dibattito tra III H, II H e Professori del 17/11
Ciao a tutti.
Come avrete senz'altro già intuito dal titolo del post, desidero spendere qualche parola riguardo l'assemblea tenuta da noi alunni della sezione H ieri mattina.
"Crocifisso si o crocifisso no? Questo è il dilemma!".
Ebbene si, perchè uno dei temi più discussi degli ultimi giorni, riguardo la validità o meno del crocifisso in classe appunto, sta assumendo sempre più i caratteri di un dubbio amletico al quale è impossibile dare risposta.
Non esporrò qui la mia posizione a riguardo, anche perchè molti di voi sanno già come la penso. Voglio piuttosto analizzare, anche per far capire meglio a coloro i quali ieri non hanno preso parte al dibattito poichè assenti, l'andamento di una giornata scolastica "alternativa".
E' parso chiaro fin da subito come il tema trattato fosse caro a tutti, e forse proprio per questo e perchè è un problema quanto mai attuale, ognuno di noi ha partecipato alla discussione in modo attento e particolarmente educato, permettendo così un sereno svolgimento della lezione.
Peccato solo per la seconda metà del dibattito, che si è svolta forse con toni un pò troppo accesi, contribuendo così a creare una leggera agitazione tra tutti noi.
Ma in ogni caso, questa è stata l'unica pecca di una giornata scolastica realmente innovativa.
Fare scuola non significa solo apprendere greco, filosofia o italiano; significa anche confrontarsi con il compagno, non aver paura ad esprimere la propria opinione, o ancora parlare di politica e di attualità. Tutto questo deve, o meglio dovrebbe essere la scuola. Una scuola moderna.
E la sezione H, e di questo ne vado fiero, permette tutto ciò. E questo non solo a parole, come molti potrebbero pensare, ma anche con i fatti. E il dibattito di ieri ne è la prova. E con lui anche questo sito, che a tratti risulta fondamentale, e che permette a noi studenti un libero scambio di informazioni e idee. Ma ci tengo a ricordare anche l'ottimo rapporto che vi è tra noi ragazzi e i nostri professori, con i quali, nel bene e nel male, riusciamo quasi sempre a raggiungere un compromesso. E' tutto questo, unito alla particolare vivacità che ci contraddistingue e al clima sereno che vige in classe, che ci ha permesso di arrivare alla lezione di ieri.
Mi auguro che questo tipo di studio possa avvenire più spesso.
Senz'altro, se i professori dovessero essere favorevoli, fissare un giorno ogni mese nel quale discutere di attualità, magari dove a partecipare siano almeno le tre classi del liceo della nostra tanto discussa sezione,non farebbe male a nessuno.
Ma per il momento penso che possa andare bene così. E anzi che possiamo ritenerci soddisfatti, perchè per essere in una scuola svogliata e disinteressata, dove in molte sezioni vi è un clima dittatoriale e i professori pur di terminare in tempo il programma prestabilito trascurano la discussione comune in classe di temi vicini a noi giovani, abbiamo dimostrato a tutti come si fa scuola.
Penso che il nostro preside, solo per i motivi appena citati ( ma ne avrei potuti segnalare molti altri ), dovrebbe indicarci al resto della scuola come modello da seguire, e non censurare come classe di vandali nullafacenti!
E voi altri cosa pensate a riguardo? Pensate che il dibattito di ieri sia stato utile ed interssante, o che sia stato solo una perdita di tempo? E ancora, sareste favorevoli a ripetere quest'esperienza in futuro?
Grazie per l'attenzione!
Ubaldo
Come avrete senz'altro già intuito dal titolo del post, desidero spendere qualche parola riguardo l'assemblea tenuta da noi alunni della sezione H ieri mattina.
"Crocifisso si o crocifisso no? Questo è il dilemma!".
Ebbene si, perchè uno dei temi più discussi degli ultimi giorni, riguardo la validità o meno del crocifisso in classe appunto, sta assumendo sempre più i caratteri di un dubbio amletico al quale è impossibile dare risposta.
Non esporrò qui la mia posizione a riguardo, anche perchè molti di voi sanno già come la penso. Voglio piuttosto analizzare, anche per far capire meglio a coloro i quali ieri non hanno preso parte al dibattito poichè assenti, l'andamento di una giornata scolastica "alternativa".
E' parso chiaro fin da subito come il tema trattato fosse caro a tutti, e forse proprio per questo e perchè è un problema quanto mai attuale, ognuno di noi ha partecipato alla discussione in modo attento e particolarmente educato, permettendo così un sereno svolgimento della lezione.
Peccato solo per la seconda metà del dibattito, che si è svolta forse con toni un pò troppo accesi, contribuendo così a creare una leggera agitazione tra tutti noi.
Ma in ogni caso, questa è stata l'unica pecca di una giornata scolastica realmente innovativa.
Fare scuola non significa solo apprendere greco, filosofia o italiano; significa anche confrontarsi con il compagno, non aver paura ad esprimere la propria opinione, o ancora parlare di politica e di attualità. Tutto questo deve, o meglio dovrebbe essere la scuola. Una scuola moderna.
E la sezione H, e di questo ne vado fiero, permette tutto ciò. E questo non solo a parole, come molti potrebbero pensare, ma anche con i fatti. E il dibattito di ieri ne è la prova. E con lui anche questo sito, che a tratti risulta fondamentale, e che permette a noi studenti un libero scambio di informazioni e idee. Ma ci tengo a ricordare anche l'ottimo rapporto che vi è tra noi ragazzi e i nostri professori, con i quali, nel bene e nel male, riusciamo quasi sempre a raggiungere un compromesso. E' tutto questo, unito alla particolare vivacità che ci contraddistingue e al clima sereno che vige in classe, che ci ha permesso di arrivare alla lezione di ieri.
Mi auguro che questo tipo di studio possa avvenire più spesso.
Senz'altro, se i professori dovessero essere favorevoli, fissare un giorno ogni mese nel quale discutere di attualità, magari dove a partecipare siano almeno le tre classi del liceo della nostra tanto discussa sezione,non farebbe male a nessuno.
Ma per il momento penso che possa andare bene così. E anzi che possiamo ritenerci soddisfatti, perchè per essere in una scuola svogliata e disinteressata, dove in molte sezioni vi è un clima dittatoriale e i professori pur di terminare in tempo il programma prestabilito trascurano la discussione comune in classe di temi vicini a noi giovani, abbiamo dimostrato a tutti come si fa scuola.
Penso che il nostro preside, solo per i motivi appena citati ( ma ne avrei potuti segnalare molti altri ), dovrebbe indicarci al resto della scuola come modello da seguire, e non censurare come classe di vandali nullafacenti!
E voi altri cosa pensate a riguardo? Pensate che il dibattito di ieri sia stato utile ed interssante, o che sia stato solo una perdita di tempo? E ancora, sareste favorevoli a ripetere quest'esperienza in futuro?
Grazie per l'attenzione!
Ubaldo
martedì 17 novembre 2009
Sull'insegnamento della religione a scuola
Cari ragazzi vi invio il Link utile per ascoltare la puntata della trasmissione radiofonica "Uomini e Profeti" del 30 ottobre, nella quale si è discusso dell'insegnamento della religione a scuola.
http://www.radio.rai.it/radio3/view.cfm?Q_EV_ID=301487
Il dibattito di oggi mi è parso interessante, malgrado una certa confusione nella parte finale.
Spero comunque di avervi dato le linee guida corrette dal punto di vista normativo.
Inserisco anche il link sulla sentenza della corte europea sulla quale abbiamo discusso.
http://www.lucacoscioni.it/rassegnastampa/crocifisso-nelle-scuole-ecco-la-sentenza-della-corte-europea
Buona.......navigazione
La vostra Prof.
http://www.radio.rai.it/radio3/view.cfm?Q_EV_ID=301487
Il dibattito di oggi mi è parso interessante, malgrado una certa confusione nella parte finale.
Spero comunque di avervi dato le linee guida corrette dal punto di vista normativo.
Inserisco anche il link sulla sentenza della corte europea sulla quale abbiamo discusso.
http://www.lucacoscioni.it/rassegnastampa/crocifisso-nelle-scuole-ecco-la-sentenza-della-corte-europea
Buona.......navigazione
La vostra Prof.
domenica 15 novembre 2009
A Roma anche gli Dei si innamoravano
E' curioso sapere come e cosa accadeva quando era un Dio a innamorarsi. La sessualità degli Dei era ,infatti, più predatoria di quella dei mortali, essi ritenevano opportuno soddisfare l'incontenibile passione dei sensi indipendentemente dal consenso delle interessate.
Il caso più celebre di unione tra un dio e un mortale (e certamente il più importante per la storia di Roma) è quello di Marte e Rea Silva, dalla cui unione nacque Romolo, fondatore e primo re di Roma.
Rea Silva era stata costretta dallo zio Amulio a diventare sacerdotessa di Vesta. Considerato il voto di castità trentennale cui le vestali erano tenute. Amulio pensava di aver eliminato la stirpe del fratello. Ma Marte, invaghitosi della bella e giovane sacerdotessa, decise di accoppiarsi con lei e questa non ebbe scampo. Dunque Marte la violentò: secondo alcuni durante il sonno, secondo altri sorprendendola nel bosco sacro nel quale si era recata, per prendere dell'acqua per il sacrificio. Successivamente lo zio Amulio rinchiuse Rea Silva in una prigione e diede ordine ai suoi servi di sistemare i neonati in una cesta e di abbandonarla nel Tevere. Ma la cesta, come ben sappiamo, si incagliò ad un albero e vennero trovati da una lupa che, avendo appena partorito, li allattò sino al momento in cui vennero trovati da un pastore Faustolo, che affidò alla moglie Acca Larenzia , della quale sappiamo che fu una prostituta ( lat. "lupa").
I gemelli si salvarono e Romolo, una volta raggiunta la maturità, uccise il fratello e fondò la città di Roma.
Il primo re di Roma, dunque, nacque a seguito di una violenza sessuale. E non fu il solo, anche il penultimo re, Servio Tullio nacque dall'unione tra la giovane schiava Ocrisia e Priapo.
Voi cosa ne pensate?
venerdì 13 novembre 2009
La forza di un ricordo
Ricordi. Belli, brutti. Pur sempre ricordi. Spesso fanno male un pò. Ricordare una cosa che è stata e che ora non c'è più porta nel cuore un briciolo di tristezza e malinconia. Un amore, una scelta, un'amicizia, un posto. Uno sguardo. Un sorriso. Sono piccoli frammenti di vita. I ricordi sono un niente che in alcuni momenti può diventare un tutto, quando ci sentiamo soli, quando sembra che tutto vada male, quel ricordo illuminerà il nostro cammino, sarà la nostra piccola fonte di salvezza. Ma non si tratterà sempre di qualcosa di positivo. A volte si commette l'errore di affidarsi totalmente ad esso ed esserne succubi. Spesso un ricordo ha il potere di farci dimenticare di vivere, di continuare a vivere. Invece se qualcosa finisce, qualcos'altro sicuramente inizierà, anche se abbiamo sempre troppa paura per ammetterlo a noi stessi, e questo perchè siamo persone, persone soggette a continui cambiamenti, persone che amano e che odiano. I ricordi, quindi, pur essendo parte integrante della nostra anima e del nostro essere, belli o brutti che siano, sono pur sempre passato, un passato che non può tornare. Quindi cerchiamo di guardare al futuro. Non limitiamoci ad essere ciò che siamo già stati, cerchiamo di migliorare per quanto ci è possibile e preferibilmente in meglio, con uno sguardo al passato certo ma cercando con tutte le nostre forze di vivere il presente, proiettandoci dunque verso il futuro.
mercoledì 11 novembre 2009
Apro la mia discussione con i chiari articoli che la nostra costituzione offre a proposito della tanto discussa laicità dello stato e sul ruolo della chiesa.Innanzi tutto io cittadina italiana dello Stato che dichiara determinati concetti nel suo documento fondmentale mi reputo una cristiana-cattolica ovvero,e ci tengo a precisarlo,credo nel Dio cristiano che manda il Suo Figlio a salvare il mondo e da ciò traggo la mia cattolicità che significa professare e paticare questa fede secondo i precetti della Chiesa cattolica.Pertanto rifletto su questi articoli.
Art. 7: Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.
Art. 8. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano.I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.
Art. 19. Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.
A questo punto per le mie sovracitate posizioni posso affermare che è banale soffermarsi sulla presenza del crocifisso simbolo CATTOLICO poichè nonostante io stessa sia una cattolica non vedo dove stia il problema,in quanto la presenza o l'assenza di quel simbolo o anche di altri smboli di altre religioni non muta la mia CRISTIANITà e ritengo debba essere allo stesso modo indifferente per chi si ritiene non credente.La polemica secondo me è alquanto pretestuosa perchè,da come a mia lettura si desume dagli articoli costituzionali, un simbolo non lede libertà e tanto meno la fede di un individuo.Anzi io ritengo che ai giorni nostri ci troviamo a confronto più che mai con altri culti ,altri mondi a cui una religione e uno stato tolleranti come il nostro dovrebbe aprirsi senza scontrarsi all'interno per un simbolo che potrebbe anche non essere un crocifisso ma una statua di Buddha.Forse,infatti si potrebbe proporre diversamente l'insegnamento della religione CATTOLICA nell'associazione scuola;tale insegnamento se è previsto nelle scuole vuol dire che lo stato non nega i patti stabiliti.Tutto ciò per dire che è più importante occuparci della profondità dei culti e delle leggi di stato.Concludo dicendo che è assurdo,comunque,ritenere che con un simbolo che può esprimere un concetto fondamentale per chi crede(ripeto che sia crocifisso o altro)si va a colpire una libertà come mi è capitato di sentire anche in tv.Suppongo che non bisogna,come è solito dire ironcamente,farne una questione di stato per il crocifisso.
Art. 7: Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.
Art. 8. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano.I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.
Art. 19. Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.
A questo punto per le mie sovracitate posizioni posso affermare che è banale soffermarsi sulla presenza del crocifisso simbolo CATTOLICO poichè nonostante io stessa sia una cattolica non vedo dove stia il problema,in quanto la presenza o l'assenza di quel simbolo o anche di altri smboli di altre religioni non muta la mia CRISTIANITà e ritengo debba essere allo stesso modo indifferente per chi si ritiene non credente.La polemica secondo me è alquanto pretestuosa perchè,da come a mia lettura si desume dagli articoli costituzionali, un simbolo non lede libertà e tanto meno la fede di un individuo.Anzi io ritengo che ai giorni nostri ci troviamo a confronto più che mai con altri culti ,altri mondi a cui una religione e uno stato tolleranti come il nostro dovrebbe aprirsi senza scontrarsi all'interno per un simbolo che potrebbe anche non essere un crocifisso ma una statua di Buddha.Forse,infatti si potrebbe proporre diversamente l'insegnamento della religione CATTOLICA nell'associazione scuola;tale insegnamento se è previsto nelle scuole vuol dire che lo stato non nega i patti stabiliti.Tutto ciò per dire che è più importante occuparci della profondità dei culti e delle leggi di stato.Concludo dicendo che è assurdo,comunque,ritenere che con un simbolo che può esprimere un concetto fondamentale per chi crede(ripeto che sia crocifisso o altro)si va a colpire una libertà come mi è capitato di sentire anche in tv.Suppongo che non bisogna,come è solito dire ironcamente,farne una questione di stato per il crocifisso.
lunedì 9 novembre 2009
crocifisso nelle scuole
ogni volta che Unione Europea o qualunque cittadino dotato di una certa autorità emette una sentenza contro la religione cattolica e i suoi simboli scoppiano le polemiche. In questo caso, si scopre che la corte di Strasburgo ha accolto il ricorso di una cittadina finlandeseche vive in Italia, secondo la quale il crocifisso andrebbe rimosso dalle scuole perchè simbolo specifico della religione cristiana, quindi non garantisce diritto di scelta della religione e non salvaguarda la laicità dell'istituzione scolastica. Quali sono le reazioni? Il Vaticano si dice indignato, il governo annuncia ricorso e anche da sinistra, i più moderati, dicono che la presenza del crocifisso non da fastidio a nessuno. Si è arrivati ad un punto di scontro tra laici e cattolici. Bisogna essere consci di vivere in un paese laico, sulla carta, ma dove il cristianesimo di fatto condiziona ancora le tradizioni e la cultura.
Questa è una delle tante opinioni...voi che ne pensate?
Questa è una delle tante opinioni...voi che ne pensate?
martedì 3 novembre 2009
Qualche notizia sulle Baccanti
Vi invio un Link per curiosare sulle Baccanti, penso che possa essere utile.
http://volta.valdelsa.net/thiasos/baccanti/hpsommario.htm
http://volta.valdelsa.net/thiasos/baccanti/hpsommario.htm
2012 ?!?
2012.. Una semplice data, quattro semplici numeri che sentiamo ripetere di continuo.. La fine del mondo? L'inizio di qualcosa di nuovo? O semplice superstizione di uomini che non sanno più cosa inventare, che parlano solo per parlare?
Effettivamente qualcosa sta davvero sconvolgendo il nostro mondo, climi che cambiano, ghiacciai che si sciolgono, terremoti che distruggono intere popolazioni, cataclismi vari che cominciano a far riflettere anche coloro che nel "2012" vedevano solo uno sfrenato fanatismo di uomini ignoranti. Beh sembra quasi che quel "day after tommorrow" stia per avvenire proprio davanti ai nostri occhi.
E voi ci credete??
Effettivamente qualcosa sta davvero sconvolgendo il nostro mondo, climi che cambiano, ghiacciai che si sciolgono, terremoti che distruggono intere popolazioni, cataclismi vari che cominciano a far riflettere anche coloro che nel "2012" vedevano solo uno sfrenato fanatismo di uomini ignoranti. Beh sembra quasi che quel "day after tommorrow" stia per avvenire proprio davanti ai nostri occhi.
E voi ci credete??
martedì 27 ottobre 2009
Da un film si può imparare?
Piccolo trailer tratto dal gladiatore
Spesso non bastano insegnanti che spiegano e alunni che studiano, spesso gli stimoli possono essere dati da qualcosa che non sia un libro. Nel 2010 possiamo dire che abbiamo l'opportunità si usufruire di tecnologia avanzata e non, per cui perchè non ammettere che si possa imparare qualcosa anche da un film? Un film che sia storico, psicologico, realista, romantico. Madame de Stael nell'800 invitava gli intellettuali classici ad aprirsi a tutto ciò che di nuovo ci fosse nella letteratura, io nel XXI secolo dico agli insegnanti: viviamo in un mondo che ha un miliardo di lati positivi ma nel nostro pessimismo non riusciamo a notarli.. apriamo gli orizzonti ad una scuola che non sia tradizionale, approfondiamo tutto ciò che studiamo, non limitiamoci ad essere persone "tra le righe", rompiamo gli schemi.. E perchè non iniziare imparando qualcosa da un buon film?
Spesso non bastano insegnanti che spiegano e alunni che studiano, spesso gli stimoli possono essere dati da qualcosa che non sia un libro. Nel 2010 possiamo dire che abbiamo l'opportunità si usufruire di tecnologia avanzata e non, per cui perchè non ammettere che si possa imparare qualcosa anche da un film? Un film che sia storico, psicologico, realista, romantico. Madame de Stael nell'800 invitava gli intellettuali classici ad aprirsi a tutto ciò che di nuovo ci fosse nella letteratura, io nel XXI secolo dico agli insegnanti: viviamo in un mondo che ha un miliardo di lati positivi ma nel nostro pessimismo non riusciamo a notarli.. apriamo gli orizzonti ad una scuola che non sia tradizionale, approfondiamo tutto ciò che studiamo, non limitiamoci ad essere persone "tra le righe", rompiamo gli schemi.. E perchè non iniziare imparando qualcosa da un buon film?
sabato 24 ottobre 2009
Er Colosseo
Roma:il simbolo più mastoso e suggestivo che ancora oggi possiamo ammirare.Ecco la sua storia
Anfiteatro Flavio-Colosseo
Guardate questo video e scoprirete la settima meraviglia del mondo!
Anfiteatro Flavio-Colosseo
Guardate questo video e scoprirete la settima meraviglia del mondo!
sabato 17 ottobre 2009
La morale in Seneca
Il punto focale del pensiero morale di Seneca consiste nella precisa determinazione concettuale di ciò che è bene e di ciò che è male secondo i canoni della storia. Bene è ciò che conserva e incrementa il nostro essere, male è ciò che lo danneggia. Dunque la filosofia si impone come terapia dei mali dell’anima, Senza la filosofia l’animo è malato. “Solo la filosofia può svegliarci, dice Seneca, essa soltanto può riscuoterci dal nostro sonno profondo: consacrati tutto a lei” (Lettere, 53,8). Questo modo di filosofare che mirava all’essenzialità e alla chiarezza, implica una precisa presa di posizione contro due tendenze: in primo luogo contro ogni forma di indagine mirante alla pura erudizione, alla mera ricerca di dati e nozioni; in secondo luogo, contro i problemi teorici sempre più sottili cui si dedicavano non pochi professori di filosofia. La verità, secondo Seneca, può e deve essere espressa con chiarezza e semplicità.
Ora, poiché l'uomo si distingue dagli altri esseri per la natura razionale del suo animo, si dovrà distinguere ciò che in lui conserva e incrementa il suo essere animale e ciò che invece conserva e incrementa il suo essere razionale, il suo logos. Dunque i veri beni sono solo i beni morali, quelli che fanno buono l'uomo e che lo rendono virtuoso. Bene è per l'uomo solo la virtù, male è il vizio. In breve, la virtù di ciascuna cosa consiste nell'essere perfetta in ciò che ontologicamente la caratterizza. Va lodato colui che possiede l'unico vero bene dell'uomo,che è la virtù morale, e non chi possiede ricchezza o nobiltà di nascita o potere. Fra i beni e i mali, ossia fra la virtù e il vizio, stanno molteplici cose. Tutte le cose che riguardano
il corpo e la vita fisica e ciò che è ad essi connesso (vita, salute, piacere, bellezza, forza, infermità, povertà, bruttezza ecc.) non giovano né nuocciono all'anima razionale e per questo vengono considerate moralmente indifferenti. Ma è evidente che alcune cose moralmente indifferenti saranno preferibili e altre non preferibili. Il vero bene, ossia la virtù, riguarda ciò che sei (la tua essenza di uomo), i preferibili riguardano invece ciò che tu hai(le cose che ti appartengono e chi ti riguardano solo dal di fuori). Tutti i mali, le angosce e le lotte degli uomini rientrano sempre e solo nella sfera dei preferibili e mai nella sfera della virtù: ai primi si riferiscono tutte le illusioni di felicità, e quindi l'infelicità; alla seconda la vera e autentica felicità. I grandi mali non stanno tanto nelle cose quanto nella valutazione sbagliata che noi diamo di esse. Esiste per l'uomo la felicità? Sì, vivere felici equivale a vivere secondo natura e vivere secondo natura è vivere secondo la verità che la ragione coglie, e quindi è vivere nella dimensione del Logos. La felicità è armonia interiore, armonia dell'uomo con sé,con le cose del mondo e col divino. La felicità non è ciò che consegue alla virtù, ma la virtù in sé e per sé. La virtù è autosufficiente in tutti i sensi. L'uomo felice è artefice della propria vita, in quanto non si lascia mai vincere né condizionare dalle cose esteriori, perché punta su se stesso e sulle proprie capacità, pronto ad accettare tutti i risultati che conseguono dalle sue azioni.
Ora, poiché l'uomo si distingue dagli altri esseri per la natura razionale del suo animo, si dovrà distinguere ciò che in lui conserva e incrementa il suo essere animale e ciò che invece conserva e incrementa il suo essere razionale, il suo logos. Dunque i veri beni sono solo i beni morali, quelli che fanno buono l'uomo e che lo rendono virtuoso. Bene è per l'uomo solo la virtù, male è il vizio. In breve, la virtù di ciascuna cosa consiste nell'essere perfetta in ciò che ontologicamente la caratterizza. Va lodato colui che possiede l'unico vero bene dell'uomo,che è la virtù morale, e non chi possiede ricchezza o nobiltà di nascita o potere. Fra i beni e i mali, ossia fra la virtù e il vizio, stanno molteplici cose. Tutte le cose che riguardano
il corpo e la vita fisica e ciò che è ad essi connesso (vita, salute, piacere, bellezza, forza, infermità, povertà, bruttezza ecc.) non giovano né nuocciono all'anima razionale e per questo vengono considerate moralmente indifferenti. Ma è evidente che alcune cose moralmente indifferenti saranno preferibili e altre non preferibili. Il vero bene, ossia la virtù, riguarda ciò che sei (la tua essenza di uomo), i preferibili riguardano invece ciò che tu hai(le cose che ti appartengono e chi ti riguardano solo dal di fuori). Tutti i mali, le angosce e le lotte degli uomini rientrano sempre e solo nella sfera dei preferibili e mai nella sfera della virtù: ai primi si riferiscono tutte le illusioni di felicità, e quindi l'infelicità; alla seconda la vera e autentica felicità. I grandi mali non stanno tanto nelle cose quanto nella valutazione sbagliata che noi diamo di esse. Esiste per l'uomo la felicità? Sì, vivere felici equivale a vivere secondo natura e vivere secondo natura è vivere secondo la verità che la ragione coglie, e quindi è vivere nella dimensione del Logos. La felicità è armonia interiore, armonia dell'uomo con sé,con le cose del mondo e col divino. La felicità non è ciò che consegue alla virtù, ma la virtù in sé e per sé. La virtù è autosufficiente in tutti i sensi. L'uomo felice è artefice della propria vita, in quanto non si lascia mai vincere né condizionare dalle cose esteriori, perché punta su se stesso e sulle proprie capacità, pronto ad accettare tutti i risultati che conseguono dalle sue azioni.
"Non abbiamo poco tempo, ma ne abbiamo perduto molto" (Seneca)
Il senso della fuga del tempo e della caducità delle cose percorre come un brivido febbrile tutta l'opera di Seneca. Ad alimentarlo, entro il solco profondo della speculazione stoica, concorre la coscienza di una condizione politica gravante come insidia quotidiana sulla classe senatoria romana, posta sotto l'arbitrio di un potere imperiale ormai divenuto tirannide. Osteggiato da Caligola, esiliato da Claudio (e il successore, Nerone, gii darà la morte), Seneca sa che la vita è un terreno di lotta minato dall'ansia e dalla realtà dello scacco.A questa realtà egli oppone il fronte di una problematica saggezza, che invita a liberare lo spazio breve dell'esistenza dalle futili tensioni che lo contraggono e lo consumano, vanificandone la potenziale ricchezza. Il tempo è il bene più prezioso dell'uomo; ma è anche quello più facilmente misconosciuto e dissipato. Ecco l'impietoso spettacolo dell'alienazione umana, la massa frenetica degli affaccendati, il dramma delle vite consunte dalla brama di ricchezza e di potere; e di contro, in aristocratica solitudine, la figura del saggio, che nel dominio razionale di sé sa rendere intenso e fecondo ogni momento dell'esistere e fa di ogni giorno una vita.Abile nella tessitura del discorso, tutto tramato di luci e di ombre, Seneca avvince il lettore non solo con il fascino suadente del moralista capace di indagare le pieghe più riposte dell'animo, ma con l'estro del grande scrittore che sa fermare nella parola la molteplicità degli atteggiamenti umani, illuminando aspetti sempre nuovi di antiche verità.
Il male e la sofferenza in Seneca
“Come tanti fiumi, tante piogge precipitatesi dall’alto, tanta abbondanza di fonti medicamentose non alterano il sapore del mare e neppure lo attenuano, così l’impeto delle avversità non sconvolge l’animo d’un uomo forte: egli rimane nella sua posizione (manet in statu) e trae partito da qualunque avvenimento, perché è più forte di ogni realtà esterna. Ma non dico che non sente gli eventi: li vince, e, per il resto, quieto e placido, si leva contro ciò che lo attacca. Reputa ogni avversità un esercizio (exercitatio). Chi, peraltro, purché uomo e direttamente rivolto all’onesto (erectus ad honesta), non è desideroso di una giusta fatica e pronto ad eseguire doveri anche pericolosi? Per quale uomo attivo l’ozio non è una pena?” In queste parole è già in sintesi tutto l’opuscolo di Seneca e la sua alta spiritualità. Il male, le avversità, il dolore, la sofferenza sono prove a cui l’uomo forte e onesto risponde con fermezza; sono esercizi (grecamente askéseis) cui si sottopone anche volentieri, non diversamente dagli atleti, dai soldati, dai gladiatori; perché “senza un avversario la virtù infiacchisce”. E come i padri spartani sono severi coi figli che fanno sudare e anche piangere, così Dio, come un padre che ama fortemente (fortiter) i figli, dice: “Siano sottoposti a fatiche, dolori e danni perchè acquistino la vera forza (ut verum diligant robur)”.
I guerrieri autentici si gloriano delle ferite e mostrano il sangue che scorre dalla corazza, giacché la virtù è avida di pericoli e di gioia, e pensa alle sue mete, non ai mali che dovrà sopportare.
Ci sono poi i vili, quelli che non sanno resistere e si lamentano sterilmente, e nondimeno sopravvivono e anzi vivono con più agio e più lungo dei forti. E’ vero: sodomiti e scostumati stanno tranquilli tra mollezze e agi; invece alla fatica e alle armi vengono chiamati i migliori (labor optimos citat); perché sono gli uomini che vegliano negli accampamenti e combattono in armi e magari sono feriti e uccisi.
Il problema che l’opuscolo senecano affronta è quello: perché disgrazie capitano agli uomini onesti se esiste la Provvidenza?
Esiste, comincia a dire Seneca, un ordine, una legge eterna che è ovunque e regola gli accadimenti; e questo mondo non può non avere un custode. Dietro l’apparente irregolarità dei fenomeni esiste la ferrea legge della causalità che provvede razionalmente a che la realtà li conservi nel suo stato. Innanzitutto, quindi, Seneca ribadisce la tradizionale dottrina dell’ordo cosmico razionale (pronoia, providentia o heimarmene, fatum) formulata in chiave eminentemente immanentistica e panteistica e conformemente ad un atteggiamento essenzialmente cosmocentrico, per quanto numerosi siano gli spunti teistici (però ininfluenti per la sua concezione globale della realtà).
Questa è per Seneca una certezza incrollabile: la realtà è buona e nient’affatto priva di significato. Allora perché capitano disgrazie agli onesti, mentre i disonesti prosperano nel lusso e nella salute? E questo è anche il problema di Lucilio, il destinatario dell’opuscolo, che non dubita della Provvidenza ma se ne lamenta.
Ecco la soluzione di Seneca: la sofferenza è esercizio che Dio ci infligge perché la virtù umana possa esistere e fortificarsi; quindi è un bene. Peraltro solo il vizio è male, il resto è indifferente. Seneca, non discostandosi dall’insegnamento tradizionale (gli antichi non pretendevano né volevano essere originali) accentua romanamente il momento della lotta nel rapporto tra l’uomo e la sofferenza, delineandone così una concezione definibile a buon diritto “agonistica”. Batte sull’impegno, sull’azione, sulla lotta anche sanguinosa, per cui la vita risulta un costante duello tra l’uomo o meglio il suo spirito indomabile e la realtà, a volte apparentemente iniqua o indifferente. Quest’ultima però non cessa neanche un istante di essere buona e ordine assolutamente significativo. Il male è piuttosto la condizione della moralità dell’uomo onesto; è l’antagonista ineliminabile e necessario.
I guerrieri autentici si gloriano delle ferite e mostrano il sangue che scorre dalla corazza, giacché la virtù è avida di pericoli e di gioia, e pensa alle sue mete, non ai mali che dovrà sopportare.
Ci sono poi i vili, quelli che non sanno resistere e si lamentano sterilmente, e nondimeno sopravvivono e anzi vivono con più agio e più lungo dei forti. E’ vero: sodomiti e scostumati stanno tranquilli tra mollezze e agi; invece alla fatica e alle armi vengono chiamati i migliori (labor optimos citat); perché sono gli uomini che vegliano negli accampamenti e combattono in armi e magari sono feriti e uccisi.
Il problema che l’opuscolo senecano affronta è quello: perché disgrazie capitano agli uomini onesti se esiste la Provvidenza?
Esiste, comincia a dire Seneca, un ordine, una legge eterna che è ovunque e regola gli accadimenti; e questo mondo non può non avere un custode. Dietro l’apparente irregolarità dei fenomeni esiste la ferrea legge della causalità che provvede razionalmente a che la realtà li conservi nel suo stato. Innanzitutto, quindi, Seneca ribadisce la tradizionale dottrina dell’ordo cosmico razionale (pronoia, providentia o heimarmene, fatum) formulata in chiave eminentemente immanentistica e panteistica e conformemente ad un atteggiamento essenzialmente cosmocentrico, per quanto numerosi siano gli spunti teistici (però ininfluenti per la sua concezione globale della realtà).
Questa è per Seneca una certezza incrollabile: la realtà è buona e nient’affatto priva di significato. Allora perché capitano disgrazie agli onesti, mentre i disonesti prosperano nel lusso e nella salute? E questo è anche il problema di Lucilio, il destinatario dell’opuscolo, che non dubita della Provvidenza ma se ne lamenta.
Ecco la soluzione di Seneca: la sofferenza è esercizio che Dio ci infligge perché la virtù umana possa esistere e fortificarsi; quindi è un bene. Peraltro solo il vizio è male, il resto è indifferente. Seneca, non discostandosi dall’insegnamento tradizionale (gli antichi non pretendevano né volevano essere originali) accentua romanamente il momento della lotta nel rapporto tra l’uomo e la sofferenza, delineandone così una concezione definibile a buon diritto “agonistica”. Batte sull’impegno, sull’azione, sulla lotta anche sanguinosa, per cui la vita risulta un costante duello tra l’uomo o meglio il suo spirito indomabile e la realtà, a volte apparentemente iniqua o indifferente. Quest’ultima però non cessa neanche un istante di essere buona e ordine assolutamente significativo. Il male è piuttosto la condizione della moralità dell’uomo onesto; è l’antagonista ineliminabile e necessario.
Imperatore Claudio: "un ragazzo difficile"
Quanto ne sapevi dell'Imperatore Claudio?
Nasce a Lugdunum (Lione) il primo di agosto del 10 a.C., terzo figlio di Nerone Druso, il fratello di Tiberio, e Antonia Minore.Ritenuto mentalmente ritardato fin da piccolo, non gode nemmeno della considerazione dei suoi più stretti familiari, tanto che la madre si riferisce spesso a lui come a "una caricatura d'uomo che la natura ha dimenticato di portare a termine" e ne fa la pietra di paragone della stupidità,misellus per Augusto.Costantemente escluso dalla vita politica - Augusto gli concede solamente una simbolica carica sacerdotale e relegandolo fra gli eredi di terzo grado - ottiene solo nel 37 d.C. dall'imperatore Gaio (detto Caligola e figlio di Germanico, fratello di Claudio) di essere suo collega di consolato per soli due mesi conferitagli per apparenza.Nonostante trascorra buona parte della sua vita all'ombra dei suoi altolocati parenti, Claudio diviene fortunosamente (è il caso di dirlo) imperatore all'età di cinquant'anni suonati, immediatamente dopo la congiura nella quale Caligola viene ucciso.Si narra infatti che in quell'occasione un'aquila fosse volata proprio sopra Claudio, finendo poi per posarsi sulla sua spalla destra.Si narra infatti che in quell'occasione un'aquila fosse volata proprio sopra Claudio, finendo poi per posarsi sulla sua spalla destra.
Esagerato e morigerato al tempo stesso, modesto e iracondo, imprevedibile e ovvio ai limiti della stupidità, Claudio è forse la personificazione della contraddizione. Rifiuta di essere chiamato imperatore e rifugge da qualsiasi ostentazione di potere. Onora i famigliari morti come primo atto del suo imperio e proibisce qualsiasi festeggiamento.proclama un atto di amnistia per tutti quelli che, prima del suo avvento al potere, hanno invocato la restaurazione della repubblica. Contemporaneamente, però, fa giustiziare alcuni di coloro che hanno congiurato contro Caligola,Di solito mite, si lascia trascinare da eccessi d'ira e da palesi crudeltà e prova un perverso piacere di fronte ai patimenti di coloro che vengono sottoposti a tortura, attardandosi ad osservare le smorfie di dolore sul volto dei condannati. Ama visceralmente i combattimenti al circo e spesso costringe anche gente comune a combattere nell'arena. Si pone però con modestia nei confronti del senato e dei magistrati e assiste come un normale spettatore ai giochi che questi ultimi offrono al popolo, tributando loro un rispettoso saluto come un cittadino qualsiasi.Si occupa dell'amministrazione della giustizia con estremo impegno, non diserta i suoi doveri nemmeno durante le feste comandate, revisiona varie disposizioni di legge che ritiene inique cercando di renderle tolleranti a seconda dei casi.Tuttavia le fonti riportano velenosi aneddoti su sentenze quanto mai bizzarre e dettate dall'umore del momentole fonti riportano velenosi aneddoti su sentenze quanto mai bizzarre e dettate dall'umore del momento.La perseveranza dell'imperatore nell'adempimento dei propri doveri diviene proverbiale tanto che le monete coniate sotto il suo impero ricordano la "constantia augusti".La perseveranza dell'imperatore nell'adempimento dei propri doveri diviene proverbiale tanto che le monete coniate sotto il suo impero ricordano la "constantia augusti".Ha una visione politica straordinariamente moderna, egli infatti tende a ritenere la composizione multietnica dei territori annessi una possibilità di progresso piuttosto che un elemento disgregante tanto che Claudio caldeggia la presenza in senato anche di membri provenienti dalle provincie non ancora "romanizzate".Claudio si occupa anche con particolare interesse del miglioramento delle opere pubbliche, in particolare degli acquedotti, terminando le grandiose costruzioni del- l'Aqua Claudia e dell'Anio Novus.
Sviluppi interni: il monopolio politico del Senato
In questi anni si consolida la supremazia e l'egemonia senatoria su Roma, e ciò ovviamente a prezzo di un inevitabile scollamento tra le forze politiche e il resto della popolazione. Il nuovo rapporto tra masse e potere cambia in quanto non si può più governare in modo diretto l'intera cittadinanza romana (sia interna che esterna), dal momento che il suo numero è divenuto ormai enorme; Ma la crescita territoriale e quella finanziaria concorrono anche a creare una realtà più mobile e più dinamica, che mal si adatta alle concezioni oligarchiche patrizie. E da una tale trasformazione si deve partire per capire la reazione 'anti-borghese' del Senato romano, che lo porta ad azioni eclatanti come le accuse di immoralità e di frode fiscale ai danni dello Stato rivolte contro Scipione, accuse in seguito alle quali quest'ultimo sceglierà di ritirarsi a vita privata abbandonando la politica attiva. Se, insomma, questi anni vedono una espansione territoriale verso l'esterno davvero impressionante, vedono anche all'interno dello Stato l'accentramento dei poteri politici attorno al Senato. Dopo la vittoria contro la Macedonia di Filippo V si assiste in questi anni ad una prima forma di imperialismo consapevole di Roma, dettata dalla volontà di estendere il proprio potere e i propri territori: un proposito che trova origine nella "volontà di potenza romana" (esaltata dalle recenti vittorie) ma anche nel bisogno di rispondere alla crisi sociale, e negli interessi economici delle classi alte, soprattutto in quelli della classe commerciale dei cavalieri. La classe patrizia diviene egemone in politica, pur non rispecchiando più al tempo stesso da sola tutti gli interessi e le pulsioni della società romana: in questi anni avviene sì il suo trionfo, ma vi sono anche i primi segni di un suo scollamento politico dal tessuto sociale! Il Senato resterà dunque un'indiscussa autorità politica che, arroccata sui suoi privilegi, governerà con pugno di ferro sia Roma che le sue province. Sarà la nascita dell'Impero sotto Ottaviano a segnare la sconfitta di questo tipo di politica e dei suoi ideali, oramai palesemente inadatti a gestire la nuova situazione, caratterizzata da un numero sempre maggiore di territori e di persone da amministrare, da una maggiore mobilità a livello commerciale, dall'impossibilità insomma di un dominio - in stile nobiliare-arcaico - a senso unico e senza mediazioni (adatto invece a governare una regione più piccola e con un'economia fondamentalmente agricola).
Sarà più facile per voi rendervi conto dell'immensità dell'Impero Romano visitando le mappe aggiunte da Maria Cantaffa nel post precedente.
Sarà più facile per voi rendervi conto dell'immensità dell'Impero Romano visitando le mappe aggiunte da Maria Cantaffa nel post precedente.
Concezione del tempo in Seneca
Il De brevitate vitae affronta il problema del tempo secondo l'ottica del saggio, il quale è consapevole che gli uomini sprecano il tempo a loro disposizione, per poi lamentarsi della brevità dell'esistenza; invece:
"Vita, si uti scias, longa est... Exigua pars est vitae qua vivimus. Ceterum quidem omne spatium non vita, sed tempus est"
La vita, se la si sa impiegare (bene), è lunga...Esigua è quella parte di vita che noi viviamo (davvero). Tutto il resto dell'esistenza in realtà non è vita vera, ma solo tempo.
"Vita, si uti scias, longa est... Exigua pars est vitae qua vivimus. Ceterum quidem omne spatium non vita, sed tempus est"
La vita, se la si sa impiegare (bene), è lunga...Esigua è quella parte di vita che noi viviamo (davvero). Tutto il resto dell'esistenza in realtà non è vita vera, ma solo tempo.
L'impero da Augusto, mappe:
Le abitazioni nella Roma Imperiale
La Domus
Occupata di solito da un'unica famiglia, era la casa urbana delle persone più benestanti. Generalmente costituita dal solo pianterreno, mancava di un prospetto esterno poiché sul lato della strada non si aprivano né finestre né balconi. Gli ambienti erano numerosi e destinati ognuno ad un uso preciso. L'ostium era l'ingresso principale attraverso il quale si accedeva ad un corridoio detto vestibulum a metà del quale si apriva la vera e propria porta di casa; la ianua. A un lato dell'ostium si trovava la stanza del portinaio; cella ostiarii, oppure alcune botteghe; tabernae, che erano comunicanti con la casa e si aprivano sulla strada. Il vestibulum delle case più ricche era molto vasto ed ornato di colonne e di statue. Quello era il luogo preposto ad accogliere i clientes per la salutatio matutina in cambio della quale ricevevano un invito a pranzo o la borsa delle vivande, la sportula. La ianua era formata da una soglia; limen, dagli stipiti; postes, sui quali era posato una architrave di marmo; epistylium, sotto al quale si apriva la porta; fores, a due ante; valvae. Da qui si entrava in un altro corridoio; fauces, che conduceva nella stanza principale della casa; l'atrium. Oltre a quest'ingresso ce n'era uno di servizio; posticum, che da un vicolo laterale alla casa accedeva direttamente al peristylium. Nell'atrium, di fronte all'entrata, era sistemato il lectus genialis, in ricordo dei tempi in cui quest'ambiente era considerato il cuore della casa perché vi si accendeva il focolare domestico ed era insieme stanza da lavoro, di ricevimento e camera nuziale. Con lo sviluppo degli ambienti posteriori della casa, l'atrio rimase un'anticamera grandiosa e sontuosamente arredata dove erano conservate le immagini di cera degli antenati; imagines, i Lares, déi protettori della casa, in una cappelletta detta lararium, la cassaforte domestica; arca, e talvolta anche un ritratto marmoreo del pater familias. Un tavolinetto di marmo; cartibulum, addossato al muro costituiva il ricordo dell'antico focolare.
Questa è la tipica casa dell'età imperiale.Dite cosa ne pensate di questo ambiente che fa parte di quel periodo anche confrontando con oggi.A voi i commenti.
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